lunedì 28 settembre 2015

BookBugs su SmartComiX

Ed ecco finalmente l'annuncio: BookBugs, la serie ideata da me e Donald Soffritti, ha trovato una nuova casa presso gli SmartComiX di Fabio Celoni, editi da Shockdom!
La storia sarà suddivisa in tre parti, la prima delle quali uscirà in anteprima per Lucca Comics & Games 2015.
Ringraziamo Fabio e Marco Turini per il supporto, restate sintonizzati per ulteriori informazioni.
Augurateci buona fortuna!

martedì 22 settembre 2015

Inside Out


Sono andato anch'io a vedere "Inside Out" e anche a me è piaciuto molto.

Ogni particolare di questo film è significativo, una metafora dei complessi processi che strutturano la personalità. Chi ha scritto questo film deve avere delle competenze piuttosto approfondite in materia psicologica.

Forse non è il miglior film della Pixar in assoluto, ma è in un certo senso il loro film "definitivo", una sorta di manifesto animato.

OCCHIO: SPOILER! NON LEGGERE DA QUI IN AVANTI SE NON HAI GIA' VISTO IL FILM!

La morale della storia è potentissima soprattutto nell'ambito dell'intrattenimento per ragazzi. Prima del successone della Pixar, praticamente tutto l'intrattenimento per l'infanzia era strangolato dal politically correct. Tutte le emozioni negative erano bandite. Poteva esistere solo la gioia, niente tristezza o rabbia nei personaggi, nemmeno nei cattivi, niente scene disgustose o di paura. Un atteggiamento che tuttora qualche volta si ripresenta nell'industria, quando ci si lascia influenzare dalle fobie di poche mamme da combattimento che vorrebbero mettere i propri figli sotto una campana di vetro, la classica minoranza rumorosa.

Inside Out invece ci racconta l'esatto contrario. Che non solo la tristezza non va rifuggita, ma che può essere addirittura utile, terapeutica. Che la tristezza è una componente della nostra personalità tanto quanto la gioia, anzi, è l'altra faccia della medaglia. Che provare emozioni complesse (come le sfere che alla fine sono multicolori) fa parte del processo di crescita. E soprattutto Inside Out ci dice che le emozioni, tristezza o rabbia o qualsiasi altra che sia, vanno comunicate se vogliamo che risultino utili. La soluzione al problema di Riley non sta nella tristezza in sé, ma nell'aver accettato di provare tristezza e di comunicarlo ai genitori.

E quindi viva la Disney Pixar che ci spiega in maniera così cristallina la filosofia che li ha guidati fin dall'inizio. Ricordate i primi film Pixar? Gli unici ad avere il coraggio di mettere anche in personaggi positivi delle emozioni negative. La paura dell'abbandono, la gelosia, i dispetti, il senso di colpa. Con Inside Out la Pixar per l'ennesima volta ci dice - e lo dice chiaro e tondo - che se vogliamo crescere come individui dobbiamo accettare che i protagonisti in cui ci immedesimiamo sbaglino, conoscano le emozioni negative, che le trasformino in qualcosa di positivo per risolvere i problemi della vita. Solo saltando il fuoco ha luogo l'iniziazione all'età adulta, non girandoci intorno. Solo attraversando le emozioni negative e superandole si struttura la personalità di un ragazzino, non evitandole.

Credo che tutti noi del settore abbiamo tuttora parecchio da imparare da questi signori della Pixar.

PS: Non ho pianto ma ho avuto parecchio magone nell'ultima scena dell'elefante e nella scena finale davanti alla porta.

PPS: Però ho sghignazzato per cinque minuti per la scena del gatto nei titoli di coda. Se non hai riso è perché non hai un gatto.

lunedì 14 settembre 2015

Topolino n. 3121

Su Topolino n. 3121 in edicola da mercoledì 16 settembre trovate la storia "Una divisa per Topolino" scritta da me e disegnata da Michele Mazzon.

La storia vede il celebre topo in una veste inedita: quella del poliziotto. Topolino si troverà per una volta a far fronte alle difficoltà pratiche della pubblica sicurezza dal punto di vista dei "professionisti", tra faticosi interrogatori e intoppi burocratici, e si renderà conto che non è affatto facile come sembrava quando aiutava la Polizia da semplice cittadino.

Buona lettura!



giovedì 10 settembre 2015

Paperinik AppGrade #36

Il mensile Disney/Panini Paperinik AppGrade tra le altre cose sta ripubblicando la saga UltraHeroes, a cui ho collaborato anch'io, uscita su Topolino nel 2008.

Sul numero 36 di settembre trovate quindi la terza puntata (quarta, se si conta il prologo), dal titolo "Fortuna e Fama", scritta da me e disegnata da Ettore Gula.

Buona lettura!

martedì 8 settembre 2015

Dante al WOW

Sabato 12 settembre alle 17 viene inaugurata presso il Museo WOW una mostra su Dante nei fumetti. Tra le opere in esposizione c'è anche una vignetta a opera mia e dell'amico Donald Soffritti.

Durante l'inaugurazione ci sarà un'esibizione di Luigi Maio.

Il WOW - Museo del fumetto si trova in Viale Campania 12 a Milano.

Io ci sarò di sicuro, spero di vedervi numerosi!

martedì 1 settembre 2015

Topolino Story #28


Attenzione attenzione! Da oggi e per tutta la settimana è in edicola con il Corriere della Sera Topolino Story #28 dedicato all'anno 2007 in cui è inclusa la mia storia "Paperinik e il ritorno di Mr. Invisibile", originariamente uscita su Topolino n. 2701.

Che dire, sono lusingato di apparire su una collana di questo genere e mi fa piacere pensare di aver costruito un mattoncino di storia del nostro settimanale preferito.

Scrivere per l'infanzia è limitante?



Disegno di Stefano Intini - © Disney

Ritorno su un argomento che ho già sviscerato più volte: le differenze tra scrivere per l’infanzia e scrivere per gli adulti.

Come già accennato in passato, basare la narrazione principalmente sull’aspetto razionale, come ad esempio un giallo o un thriller con un meccanismo perfetto, significa scrivere principalmente per gli adulti. Solo da una certa età in poi si sviluppa in pieno una dimensione razionale che ci può far apprezzare al meglio certi meccanismi “enigmistici” che invece al bambino, in cui è molto più sviluppata la dimensione emotiva, poco interessano.

Scrivere per l’infanzia significa invece basarsi principalmente sulle emozioni. Lunghi “spiegoni” non lasciano traccia in un bambino, ma questo non significa che non sia possibile trattare argomenti complessi o temi difficili in una storia per l’infanzia. Tralasciando i limiti del non poter usare scene violente o traumatiche (limiti superabilissimi tramite l’uso di metafore), la differenza con la narrazione per adulti consiste nel semplice fatto che tutto deve passare attraverso un vissuto emotivo, più che razionale. I bambini non è che “non capiscono”. Semplicemente capiscono ciò che conoscono, e ciò che conoscono sono principalmente le emozioni. Anche emozioni complesse, come ad esempio dilemmi morali, la compassione per una persona cattiva, il miscuglio di odio e di amore nei confronti di un parente, e via dicendo.

La cosa bella è che se i bambini faticano a comprendere una narrazione squisitamente razionale, il linguaggio delle emozioni invece lo capiscono anche gli adulti. Se si riesce a scrivere di emozioni senza melensaggini e banalità, e se si riesce a usare l’umorismo, si può scrivere contemporaneamente per i bambini E per gli adulti. Un esempio che faccio spesso è quello dei film Pixar, che attraverso l’umorismo e le dinamiche emotive tra i personaggi riescono ad arrivare al cuore di spettatori di qualsiasi età.

Senza nulla togliere a una scrittura “adulta”, che interessa anche me sia da fruitore che da autore, capirete però come mai io mi trovi molto poco d’accordo con quei colleghi che pensano che scrivere per l’infanzia significhi limitarsi.

Perché è esattamente il contrario: quando scrivi per gli adulti, scrivi SOLO per gli adulti. Quando scrivi per i bambini, puoi scrivere per i bambini E per gli adulti.

Sempre che tu lo sappia fare, naturalmente.

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[EDIT]

Discutendone su Facebook con il collega Davide Costa, è venuto fuori l'argomento del lessico da usare quando si scrive per l'infanzia.

Personalmente,  credo che quando si scrive per i piccoli ci si debba limitare nel lessico - naturalmente un testo scritto in linguaggio aulico risulta troppo ostico - ma senza esagerare. Qualche parola più ricercata è addirittura auspicabile in un testo per l'infanzia, soprattutto se si tratta di una fascia di età scolare. Quelli che si fanno spaventare dalle parole sconosciute sono gli adulti, che sono più pigri. Da che mondo è mondo i bambini non solo non si fanno spaventare, ma le parole nuove incuriosiscono e invogliano alla lettura. Con parsimonia, naturalmente, ma una parola strana ogni tanto è ben accetta. L'umorismo di autori come Martina e Cimino si basava addirittura su questo tipo di dialogo tra il popolare e l'epico/obsoleto. Parole come guiderdone, sicumera, plutocrazia, da bambino mi facevano ridere PROPRIO perché non le avevo mai sentite e avevano un suono strano. Ridere scatena eccitazione, che scatena interesse, che invoglia a proseguire.

Quello che penso è che più che limitare il lessico sia necessario semplificare la costruzione delle frasi, quello sì. Una frase troppo complessa, con troppe subordinate eccetera, risulta di difficile comprensione per un bambino.
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