Disegno di Stefano Intini - © Disney
Ritorno su un argomento che ho già sviscerato più volte: le differenze
tra scrivere per l’infanzia e scrivere per gli adulti.
Come già accennato in passato, basare la narrazione principalmente
sull’aspetto razionale, come ad esempio un giallo o un thriller con un
meccanismo perfetto, significa scrivere principalmente per gli adulti. Solo da
una certa età in poi si sviluppa in pieno una dimensione razionale che ci può far
apprezzare al meglio certi meccanismi “enigmistici” che invece al bambino, in
cui è molto più sviluppata la dimensione emotiva, poco interessano.
Scrivere per l’infanzia significa invece basarsi principalmente sulle
emozioni. Lunghi “spiegoni” non lasciano traccia in un bambino, ma questo non
significa che non sia possibile trattare argomenti complessi o temi difficili
in una storia per l’infanzia. Tralasciando i limiti del non poter usare scene
violente o traumatiche (limiti superabilissimi tramite l’uso di metafore), la
differenza con la narrazione per adulti consiste nel semplice fatto che tutto deve passare
attraverso un vissuto emotivo, più che razionale. I bambini non è che “non
capiscono”. Semplicemente capiscono ciò che conoscono, e ciò che conoscono sono principalmente le emozioni. Anche emozioni complesse, come ad esempio
dilemmi morali, la compassione per una persona cattiva, il miscuglio di odio e
di amore nei confronti di un parente, e via dicendo.
La cosa bella è che se i bambini faticano a comprendere una narrazione squisitamente razionale, il linguaggio delle emozioni invece lo capiscono anche gli
adulti. Se si riesce a scrivere di emozioni senza melensaggini e banalità, e se
si riesce a usare l’umorismo, si può scrivere contemporaneamente per i bambini
E per gli adulti. Un esempio che faccio spesso è quello dei film Pixar, che
attraverso l’umorismo e le dinamiche emotive tra i personaggi riescono ad
arrivare al cuore di spettatori di qualsiasi età.
Senza nulla togliere a una scrittura “adulta”, che interessa anche me
sia da fruitore che da autore, capirete però come mai io mi trovi molto poco
d’accordo con quei colleghi che pensano che scrivere per l’infanzia significhi
limitarsi.
Perché è esattamente il contrario: quando scrivi per gli adulti, scrivi
SOLO per gli adulti. Quando scrivi per i bambini, puoi scrivere per i bambini E
per gli adulti.
Sempre che tu lo sappia fare, naturalmente.
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[EDIT]
Discutendone su Facebook con il collega Davide Costa, è venuto fuori l'argomento del lessico da usare quando si scrive per l'infanzia.
Personalmente, credo che quando si scrive per i piccoli ci si debba limitare nel lessico - naturalmente un testo scritto in linguaggio aulico risulta troppo ostico - ma senza esagerare. Qualche parola più ricercata è addirittura auspicabile in un testo per l'infanzia, soprattutto se si tratta di una fascia di età scolare. Quelli che si fanno spaventare dalle parole sconosciute sono gli adulti, che sono più pigri. Da che mondo è mondo i bambini non solo non si fanno spaventare, ma le parole nuove incuriosiscono e invogliano alla lettura. Con parsimonia, naturalmente, ma una parola strana ogni tanto è ben accetta. L'umorismo di autori come Martina e Cimino si basava addirittura su questo tipo di dialogo tra il popolare e l'epico/obsoleto. Parole come guiderdone, sicumera, plutocrazia, da bambino mi facevano ridere PROPRIO perché non le avevo mai sentite e avevano un suono strano. Ridere scatena eccitazione, che scatena interesse, che invoglia a proseguire.
Quello che penso è che più che limitare il lessico sia necessario semplificare la costruzione delle frasi, quello sì. Una frase troppo complessa, con troppe subordinate eccetera, risulta di difficile comprensione per un bambino.