martedì 31 luglio 2012

Segnalibri enigmistici!


Quando vi porterete i libri in spiaggia o in montagna, avrete bisogno senz'altro di segnalibri!

E cosa può essere meglio dei segnalibri enigmistici dello STUDIO PLATYPUS?

Cliccate QUI e scaricateli gratuitamente!

E buona lettura!


domenica 29 luglio 2012

[Appunti di scrittura] Comedone

Disturbato dall'afa e da una zanzara ronzante intorno alla testa, Milo faticava ad addormentarsi. Ripensava a quel lavoro dietro al banco di un negozio qualsiasi. Quel lavoro, quell'afa. Soffocato di giorno, soffocato di notte.

Si voltò. Nella penombra vide quella piazza di letto vuota al suo fianco. Il lenzuolo stropicciato profumava ancora di lei. Non cambiava le lenzuola da quando era uscita dalla porta, con la sua valigia, come in tutte le cazzo di commedie sentimentali del cazzo.

Gocciolando dalle tempie, il sonno alla fine arrivò.

Milo sognò.

Sognò di essere nel bagno di casa e di avere un enorme punto nero, gigantesco, al centro del petto. La superficie nera, che si affacciava dalla pelle, era larga più o meno come una palla da tennis, forse di più. Succedeva come sempre nei sogni, quando le cose cambiano continuamente di dimensioni.

Milo provava ribrezzo ma anche una sorta di eccitazione. Cominciò a schiacciarsi la pelle del petto per espellere quella orrenda cosa nera.

Spinse, schiacciò, sbuffò, e alla fine quella cosa... gnnn... plop! sbucò dal petto, in cui rimase un cratere enorme, attraverso cui si poteva vedere il costato fasciato di muscoli. La pelle si richiuse sul buco come acqua che sommerge una grotta sottomarina.

Milo aveva in mano il gigantesco punto nero. Si era sbagliato (o il sogno l'aveva modificato): non era grande come una palla da tennis ma addirittura come una mela. La punta nera, il resto era giallo opaco, quasi come un oggetto di ambra, forse più chiaro. All'interno, in trasparenza, si potevano vedere delle venature.

Pulsava. Quell'oggetto, quel coso, il punto nero pulsava.

Milo si guardò intorno e scoprì di non essere più in bagno ma in cucina. Sul pianale di fronte a lui c'era un coltello da cucina, che gli suggeriva cosa fare.

Faceva schifo, sì, ma Milo non poté evitarlo: prese il coltello e tagliò a metà quel coso giallo e nero, pulsante.

Anche dentro era giallo, ma somigliava vagamente a una melagrana, solo più molliccia. Una buccia spessa e gommosa, e un interno blobboso e pulsante, come vivo.

Milo sentì il desiderio di mordere quella cosa, di mangiarsela. Che schifo, ma era come un bisogno inappellabile.

Ne prese in mano metà e la morsicò. Un fiotto di sangue sprizzò e gli colò sulle labbra e lungo il collo.

E mentre masticava e un orrendo sapore amaro gli invadeva le papille gustative, capì. Quel coso non era un punto nero. Era il suo cuore. Ingiallito e annerito, avvizzito, marcio. Qualcosa di cui voleva liberarsi.

Qualcosa che voleva mangiare, distruggere, calpestare, prendere a martellate.

E come per una martellata Milo si svegliò. Aveva un gusto amaro in bocca, c'era qualcosa sulla lingua. Probabilmente nell'agitazione del sonno aveva mangiato la zanzara, di cui non si udiva più il ronzio.

Accese la luce, si toccò la lingua con un dito per capire cos'è che aveva in bocca.

Era sangue.


venerdì 20 luglio 2012

Emoticons


Ora, voi che usate gli emoticon, non offendetevi. Non sto scrivendo un giudizio sulla vostra persona, ma solo sull'uso degli emoticon. Vi voglio bene lo stesso.

Ho una certa idiosincrasia nei confronti degli emoticon all'interno di mail o messaggi. Non li uso praticamente mai. Sarà che scrivendo di lavoro mi dà fastidio ciò che non è "lingua pura" (ma non ne sono così sicuro).

Forse è una sorta di selezione che faccio con chi mi legge, se uno è in grado di capire una battuta, non c'è bisogno che gli metta l'emoticon. Mi sembrerebbe di fare un po' come quei comici che si sganasciano alle loro stesse battute per far capire al pubblico che è il momento di ridere.

Ma forse non è solo questo. A volte l'uso delle faccine comunica secondo me insicurezza. Non sono sicuro di dire una cosa giusta, o intelligente, o divertente, allora metto la faccina per alleggerire l'affermazione.

Altre volte, inoltre - e qui offendetevi pure se siete tra quelli che ne fanno tale uso -, negli emoticon vedo anche un po' di ipocrisia. Perché alcuni pensano che una faccina sorridente o ammiccante possa compensare una frase offensiva facendola passare per una battuta.

Dì quello che vuoi, tanto faccio quello che mi pare ;)

Fai schifo e meriti di morire :)

Il significato è evidente: io ti insulto, ma tu non puoi replicare perché ho messo la faccina.

Al che la risposta naturale a messaggi simili potrebbe essere:

Quell'emoticon del cavolo te lo puoi anche infilare su per il... :D


P.S.: Un emoticon però mi ha sempre divertito: -_-°

mercoledì 18 luglio 2012

Rinnovare i fumetti


Ho l'impressione che spesso nelle serie a fumetti di lungo corso si faccia un po' di confusione su ciò che significa rinnovare, modernizzare, adeguarsi ai tempi.

Alle volte quando una serie giunge a un momento di stagnazione capita che venga rivoltata come un calzino. Personaggi che muoiono, personaggi che si sposano, eccetera.

Qualche volta funziona. Altre volte invece succede che - parafrasando "Il Gattopardo" - si cambi tutto per non cambiare niente.

Le vite dei personaggi vengono stravolte, ma il linguaggio, il metodo di narrazione, resta sempre uguale.

Invece ho l'impressione che tante volte basterebbe rinnovare proprio il linguaggio, adeguarsi a un modo diverso che ha il lettore odierno di fruire la materia.

Per fare un esempio, recentemente sono uscite su Topolino un paio di storie che mi hanno fatto proprio ragionare su questo aspetto.

Una storia dell'esordiente Jacopo Cirillo, che pur con qualche difetto veniale da sistemare ha dimostrato un approccio dinamico e fresco al mondo disneyano, mostrando una buona base di partenza e un'ottima conoscenza dei personaggi.

Un'altra storia, sul Topo in edicola questa settimana, di Teresa Radice e Stefano Turconi, con protagonisti Paperone e Paperoga. Titolo: "Zio Paperone e l'isola senza prezzo". Che se vogliamo potrebbe suonare quasi come una risposta alla mia storia con Cavazzano "Zio Paperone in fuga dal Natale", ambientata su un'isola dove invece tutto ha un prezzo.

La Radice negli ultimi anni ha dimostrato grande bravura, stile personale, ottima conoscenza dei personaggi, umorismo, dinamicità, equilibrio tra scene "romantiche" e comiche.

In questa storia si è superata. E' riuscita nell'intento di trovare una voce propria all'interno del fumetto Disney mantenendo inalterati i caratteri dei personaggi. Un modo nuovo di raccontare che però non stravolge in nessun modo la linea editoriale di Topolino. Un modo attuale, e allo stesso tempo tradizionale, senza bisogno di piazzare a caso elementi moderni.

Semplicemente, una bella storia raccontata bene.

Questo tipo di storie sono ossigeno per Topolino.

lunedì 16 luglio 2012

Raule grammatista


La sceneggiatrice Susanna Raule ha scritto un bel post (con una bella dose di sarcasmo) in cui ricorda le regole minime dell'italiano.

Consiglio a tutti di dargli una letta, CLICCANDO QUI.

venerdì 13 luglio 2012

Originalità


Ultimamente sono giunto a una riflessione.

L'originalità è un concetto molto relativo (e questo già si sapeva).

Io posso anche raccontare uno spunto narrativo già visto, ma alla fine sarà ugualmente originale, perché è il MIO modo di raccontarlo, è il MIO punto di vista.

Viceversa, posso anche prendere uno spunto originalissimo, ma raccontarlo copiando lo stile altrui, "come lo avrebbe raccontato tizio", allora sì che sarebbe banale.

Potete anche dirmi che è una riflessione banale. Eppure.

mercoledì 11 luglio 2012

Pico special


E' in edicola "Focus PICO speciale Fiabe e filastrocche".

Al suo interno trovate ri-pubblicate le mie storie "Che cos'è Bibo?" e "Un monte di gelato".

Buona lettura (soprattutto ai vostri figli e/o nipoti)!

L'uomo vero


Continuo con la mia fase recriminatoria.

Una premessa: a me Mad Men piace un casino. Ho appena iniziato a guardare la quarta serie ed è sempre a un livello altissimo.

Adoro i personaggi principali, adoro Don Draper, il suo essere vuoto e tormentato, trovo che Vincent Kartheiser (Pete Campbell) sia un attore molto bravo, Joan Holloway è la femminilità in persona, e forse il mio personaggio preferito è Peggy Olson, quello che più di tutti subisce un'evoluzione.

Ma c'è una cosa che mi lascia un po' perplesso.

Don Draper presso il pubblico femminile ha riscosso un notevole successo. Certo, non si può negare che sia un bell'uomo, ma non è certo solo per questo.

Un po' è il suo essere "bel tenebroso", tormentato, con un passato oscuro e dei sensi di colpa.

Ma è anche e soprattutto quel suo essere "uomo vero", l'uomo "di una volta", virile, dignitoso, controllato, galante.

Certo. L'uomo di una volta.

Lo si sente dire ogni tanto dalle donne: "non esistono più uomini veri!"

Don Draper, l'uomo vero, che - come succedeva un tempo - tratta le donne da inferiori, è infedele, fuma come un turco, non muove un dito in casa, considera la moglie alla stregua di una domestica e lascia a lei l'incombenza di occuparsi dei figli. Erano altri tempi, nessun giudizio in merito, ma stupisce che le donne abbiano tutta questa nostalgia per un'epoca in cui dovevano essere o sguattere o sgualdrine. Contente loro.

I have a dream: vedere Don Draper alle prese con un aspirapolvere.

Poi magari le donne che tifano per Don Draper sono le stesse che ti danno del maschilista se ti permetti di fare una battutina sullo shopping compulsivo da Hello Kitty.

Vorrei proprio vederle se avessero la fortuna di stare con un uomo come Don Draper. Sguattere cornute o oggetti ad uso sessuale.

L'uomo vero.

Contente loro, comunque posso ritenermi fortunato nel dire che qualcuna considera più un uomo vero chi, come me, fa anche la spesa e passa l'aspirapolvere, quando necessario. E non fuma.

E sì, di donne vere ce ne sono ancora, ne ho conosciute alcune, per mia fortuna.

lunedì 9 luglio 2012

Capelli lunghi


Se hai i capelli lunghi, difficilmente la gente ti prende sul serio.

Se hai i capelli lunghi e la faccia rasata, ti prendono per un ragazzino.

Se hai i capelli lunghi e la barba, ti prendono per un barbone.

Difficilmente ti danno del Lei.

Quando presenti la carta di credito, quasi sempre di ti chiedono il documento.

Se passi la frontiera per fare una gita ti tengono un'ora per perquisire te e la macchina, e ti dicono "Dove hai messo la roba? Dai dillo, che tanto la troviamo". Perché hai i capelli lunghi.

E tu speri che si sbrighino a far venire il cane antidroga (l'unico animale intelligente del luogo) che in 10 secondi netti annusa dappertutto e se ne va scodinzolando.

E ti chiedi: "Ma secondo loro gli spacciatori che passano la frontiera coi chili di cocaina vanno in giro coi capelli lunghi, la barba e i jeans strappati? O saranno piuttosto persone dall'aspetto conforme alla più becera estetica comune?"

E' con questi ragionamenti in testa che ho approcciato il finale del pur molto bello "This must be the place" di Sorrentino.

DISCLAIMER: ATTENZIONE SPOILER! SE NON AVETE VISTO "THIS MUST BE THE PLACE" NON PROSEGUITE NELLA LETTURA!

Credo che il tema principale del film sia in fondo il rapporto tra il bambino che è in noi e la paura di raggiungere l'età adulta. Un cinquantenne che gioca ancora a fare il ragazzino, con le sue idiosincrasie da rock star, che non sa badare a se stesso.

Per la prima volta prende in mano la propria vita e si imbarca in un viaggio pericoloso che farà di lui un adulto.

Anche la decisione di far spogliare il vecchio nazista e lasciarlo al freddo è una decisione da adulto, una punizione "militaresca" che trasforma il vecchio in bambino spaurito e la star cinquantenne finalmente in un uomo.

Tutto ciò è molto bello. Il film a me piace moltissimo, c'è della poesia vera, personaggi veri, regia ottima, fotografia pazzesca, Sean Penn poi è da Oscar.

Eppure ci sono due passaggi che proprio non mi sono andati giù.

Il primo è una battuta "di passaggio" che in realtà chiarisce il tema del film:
- Come mai, con tutti i vizi che mi sono concesso, non ho mai fumato?

- È che sei ancora un bambino. Solo i bambini non hanno voglia di fumare.
Il secondo è il finalino. Cheyenne torna nel suo paesino irlandese finalmente coi capelli corti, senza trucco, vestito come una persona "normale". E' diventato un adulto, finalmente. E lo scambio di sguardi con la donna che per un attimo pensa si tratti del figlio finalmente tornato a casa, suggerisce che il personaggio sia stato "assente" per tutta la sua vita e che sia finalmente "tornato in sé".

E a questo punto mi chiedo.

Mi piacerebbe chiederlo a Sorrentino, di cui artisticamente ho molta stima.

Diventare adulto allora significa tagliarsi i capelli? Mettersi una giacchetta normale come tutti gli altri?

Addirittura fumare sarebbe una roba da adulti? Con tutti i bambini che fumano nel terzo mondo e gli adolescenti sotto casa nostra?

Possibile che perfino un artista intelligente, un regista vero come Sorrentino sia caduto in questa banalità?

Possibile che ancora nel 2012 perfino nei film per essere considerati adulti bisogna avere i capelli corti?

venerdì 6 luglio 2012

A ognuno il suo


Cortese preghiera:

Fan dei fumetti, non cercare di fare il critico.

Critico di fumetti, non cercare di fare l'autore.

Autore di fumetti, non ridurti a fare il fan.

lunedì 2 luglio 2012

Tenderini recensisce Law


Ringrazio l'amico disegnatore Emanuele Tenderini per aver scritto una breve ma esaustiva recensione di LAW all'interno di un post del suo blog.

CLICCATE QUI PER LEGGERE.
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