mercoledì 25 febbraio 2009

Huntik.it


E' online il sito dedicato a Huntik Magazine. Lo trovate QUI.

Ricordo che il primo numero è in edicola in questo momento.

Mesopotamia


History Channel. Uno di quei documentari che servono a spiegare agli americani che il mondo esisteva anche prima della tv.

La puntata parla della Mesopotamia e della "mezzaluna fertile". Delle tante invenzioni di sumeri, assiri, babilonesi e delle popolazioni ancora più antiche che vi hanno abitato: la ruota, l'irrigazione, ecc. Un luogo dove è stata inventata la scrittura e il primo codice di leggi, quello di Hammurabi.

Una cosa, però, incuriosisce lo spettatore attento: in questo americano documentario - come in quasi tutti i documentari o articoli - non viene mai fatto cenno che la Mesopotamia, quell'area un tempo fertile di flora e d'ingegni, oggi si chiama Iraq, Iran.

Curioso.

lunedì 23 febbraio 2009

I segreti erotici dei grandi chef


Ho recentemente letto il penultimo romanzo di Irvine Welsh intitolato "I segreti erotici dei grandi chef", del 2006.

Welsh è un grande narratore. Molto legato al suo territorio di partenza, la nativa Leith, in Scozia, ha già dato prova della sua arte ad esempio in "Trainspotting", da cui è stato tratto il famoso film di Danny Boyle con Ewan McGregor.

La storia de "I segreti erotici dei grandi chef" consiste sostanzialmente in un approccio moderno a quei romanzi gotico-vittoriani come "Lo strano caso del dr. Jekyll e di mr. Hyde", "Il ritratto di Dorian Gray", dove si esplora principalmente il tema del doppio.

I protagonisti sono Danny Skinner e Brian Kibby, due ragazzi poco più che ventenni. Il primo è il classico bulletto: hooligan, alcolizzato, bel ragazzo spigliato con le donne, sessuomane. Kibby invece è il classico nerd: timido, vergine, astemio, appassionato di videogiochi, di Star Trek, di trenini e di camminate in montagna. Skinner ha un pessimo rapporto con sua madre, mentre Kibby è il "cocco di mamma". Skinner non ha mai conosciuto suo padre, mentre quello di Kibby sta morendo.

Il loro primo incontro avviene sul posto di lavoro: entrambi lavorano per il Comune di Edimburgo come ispettori dell'igiene nelle cucine dei ristoranti.

Skinner è ribelle sul lavoro, mentre Kibby è il classico lecchino. I due diventano presto rivali. In pratica, sono l'esatto contrario l'uno dell'altro. Lo Yin e lo Yang: opposti che si scontrano ma non possono fare a meno di restare legati da una specie di maledizione. L'odio di Skinner verso il rivale, infatti, produce una specie di malocchio per cui, quando lui beve, si droga, fa a botte, a subirne le conseguenze è il corpo di Kibby.

Da qui prende il via una vicenda complessa e intensa, che vede Kibby cercare di capire che cosa sta succedendo al suo corpo, mentre Skinner è impegnato a indagare sull'identità di suo padre, che lui sospetta essere uno dei famosi chef che sua madre ha avuto modo di frequentare da ragazza.

La vicenda è avvincente e lo stile ancora di più. La narrazione è spezzettata in un "montaggio alternato" tra terza persona e prima persona di Skinner, Kibby e perfino la sorella di Kibby, facendoci entrare e uscire di continuo dai personaggi, quasi si fosse in una specie di sala operatoria narrativa. Lo stile è spesso cinico e impietoso verso le meschinità umane. Welsh è uno di quegli artisti che, all'inizio degli anni '90, hanno ispirato molti altri, che si sono buttati a capofitto nello stile cattivo e dissacrante. Molti di loro però non hanno capito che la narrazione di Welsh non è cinica fine a se stessa. Certe descrizioni sono sì disgustose (le conseguenze dell'alcolismo in Skinner fanno passare la voglia di bere alcolici), però sono solo una parte di uno stile che vuole mettere a nudo tutto delle persone: le bassezze, ma anche le emozioni vere, senza retorica. Questi protagonisti, Skinner e Kibby, sono al tempo stesso caricaturati e molto umani. Skinner è un bullo, un alcolizzato, ma i suoi sentimenti, dall'odio all'amore, sono veraci e altalenanti come quelli delle persone reali. Lo detestiamo per la cattiveria di cui è capace, ma soffriamo per il disastroso rapporto che ha con le persone e per la sua ansiosa - ma mai esasperata dal punto di vista retorico - ricerca del padre. Kibby è patetico, ma soffriamo con lui quando è vittima delle altrui angherie, e facciamo il tifo per lui quando cerca a fatica di esternare la sua rabbia.

L'unica cosa che non mi ha convinto del tutto è il finale, che si intuiva da almeno un terzo del romanzo. La delusione viene ammorbidita però dalla maniera intensa e dalla maestria narrativa con cui le "carte" vengono "scoperte".

Insomma, un romanzo veramente intenso, da leggere, scritto da un grande narratore dei nostri tempi.

venerdì 20 febbraio 2009

Ipse dixit



I disegnatori sono numerosi come le cavallette, ma gli scrittori rari come le vergini.


Carl Barks, 20 febbraio 1966

giovedì 19 febbraio 2009

Ciao Oreste



Un grandissimo doppiatore. L'unico in grado di trovare qualcosa di divertente in Andreotti. Ci mancherà.

mercoledì 18 febbraio 2009

Disney Blues


Scrivere Disney è come suonare il blues.

È un concetto che ho elaborato anche in seguito agli aspiranti sceneggiatori che ogni tanto mi chiedono consigli.

Mi spiego. Io, da ascoltatore e musicista, apprezzo diversi generi musicali. Mi piace anche il prog, pieno di virtuosismi e roba difficilissima da suonare. Però, quando devo suonare io un assolo con la chitarra, è un assolo blues. Certo, si potrebbe obiettare che non sono capace di suonare il prog o la fusion, non ho il bagaglio tecnico necessario né sono abbastanza veloce. Il fatto è che a suo tempo ci ho provato, a studiare ed esercitarmi, ma proprio non ci sono riuscito. Studiare per suonare la chitarra per me è il massimo del tedio. Il mio studio da adolescente si è "limitato" ad ascoltare musica e suonare la chitarra di continuo, senza metodo: ascoltare e suonare, ascoltare e suonare. E quello che mi aiutava di più erano i Blues Brothers, Eric Clapton, Chuck Berry.

Con la sceneggiatura è andata un po' diversamente. Non so come mai, ma con questa disciplina sono riuscito a concentrarmi maggiormente e a impegnarmi per imparare gli strumenti del mestiere. Sarà perché ho percepito la sceneggiatura più come "lavoro" rispetto alla musica, probabilmente per il fatto che la musica la pratico fin da adolescente, mentre con la sceneggiatura ho iniziato che avevo 22 anni. Se dovessi scrivere un romanzo (lo farò prima o poi) o delle poesie mi sentirei molto più svincolato dalla "tecnica", probabilmente perché i miei primi tentativi anche quelli li ho fatti in adolescenza.

A parte questo, pur avendo studiato la sceneggiatura, mi rendo conto che scrivere per Disney è una cosa completamente a sé. Non è facile da spiegare a parole. Come nel Blues non è che si può essere totalmente ignoranti di musica (come nel punk), ma basta saper fare una pentatonica e riconoscere il classico giro in 12 battute, anche per Disney non è necessario sapere molto a livello tecnico: basta saper dividere una storia nei classici 3 atti, e se proprio si vuol essere raffinati si può far riferimento alle 12 stazioni del "Viaggio dell'eroe" teorizzate da Vogler. Dodici come le battute di un giro blues. Curioso, eh?

Ma, a differenza ad esempio delle superlative serie tv americane degli ultimi tempi, in Disney il bagaglio tecnico ha un'importanza solo relativa, come nel blues. E' la passione che conta. Per scrivere Disney, come per suonare il blues, bisogna farlo col cuore. Lo so che sembra paradossale perché sono due cose molto diverse tra loro, ma sia Disney che il blues hanno delle atmosfere che devono scorrere nel sangue di chi si appresta all'esecuzione. Bisogna aver letto tanto Disney da bambini, aver ascoltato tanto blues in adolescenza. Bisogna averli amati. O ce l'hai dentro o non ce l'hai, c'è poco da fare.

Quand'ero adolescente gli amanti del prog metal e simili snobbavano il blues classificandolo come roba banale e tutta uguale. Allo stesso modo molti fumettisti d'autore, o sedicenti tali, classificano il fumetto Disney come roba per bambini deficienti. Roba da discount, una specie di fast-food narrativo. Attenzione: è lo stesso snobismo che corre tra chi, amante della letteratura, considera il fumetto roba per bambini ignoranti (vi assicuro che gente così esiste ancora, ci ho parlato personalmente ahimé).
Non conosco bene il motivo di tanta acredine, fatto sta che non capisco perché non possano piacere contemporaneamente il prog e il blues, il fumetto Disney e quello realistico.

Il problema è che non è così facile scrivere o disegnare per Disney. Certi lo snobbano perché non ci riescono: sanno fare bellissime e complicatissime storie realistiche, ma questo non significa che riescano a fare una storiella Disney. Ripeto: o ce l'hai dentro o non ce l'hai. Il disegno Disney sarà anche stilizzato, ma Paperino deve saper recitare molto di più rispetto a tanti personaggi realistici. I dialoghi non possono essere uguali a quelli del fumetto realistico. Idem il blues: bastano molte meno note e un tempo in 4/4, ma con la chitarra il vibrato, il bending devono essere espressivi al massimo, comunicare una passione profonda e macerata nel proprio universo interno. Corde spesse, disegno stilizzato, e tanta passione.

Una volta un amante della tecnica chitarristica mi ha detto qualcosa che suonava più o meno così: so fare lo sweep-picking e i tempi dispari, ma non so cosa darei per saper fare un assolo blues.


© immagini: Disney

lunedì 16 febbraio 2009

HuntiKomics


E' appena uscito in edicola il primo numero del fumetto dedicato a Huntik, già presente su RaiDue come cartone animato della Rainbow (nota per aver realizzato i cartoni di Winx e Monster Allergy). Per la versione a fumetti è prevista una serie da 12 numeri mensili pubblicati sempre dalla Rainbow, che esploreranno avventure dei Cercatori e dei Titani parallele al cartone animato.

Il motivo di questa segnalazione sta nel fatto che io ho sceneggiato i numeri 2, 6, 9 e 10 del fumetto di Huntik (quindi facendo un rapido calcolo dovrebbero essere i numeri in edicola a metà marzo, luglio, ottobre e novembre).

Sono molto curioso di vedere il risultato! Buona lettura!


© immagine: Rainbow & Big Bocca

domenica 15 febbraio 2009

Darwin... su Komix


La mia recensione dello spettacolo "Darwin... tra le nuvole" è stata pubblicata sul sito di notizie fumettistiche Komix, QUI.

Ringrazio Komix e il caporedattore Davide Caci.

sabato 14 febbraio 2009

Romanticherie


Non me ne può fregare di meno di S. Valentino. Detesto i salamelecchi e le melensaggini definite "romantiche" quando il termine giusto sarebbe "patetiche".

Ma colgo l'occasione del tema oggi in voga per condividere con voi quella che ho sempre considerato la scena forse più romantica della storia del cinema. Perché per essere romantico, io lo sono davvero.



Purtroppo in rete non l'ho trovata intera, però potrete vederla nel film "Tempi moderni" di Charlie Chaplin, uno dei più grandi capolavori di sempre.

venerdì 13 febbraio 2009

A proposito di Darwin


Sono contento di sapere che Luca Boschi, uno degli autori dello spettacolo "Darwin... tra le nuvole" ha citato la mia recensione nel suo blog: QUI.

giovedì 12 febbraio 2009

Darwin Day


Duecento anni fa a Shrewsbury, in Inghilterra, nasceva lo scienziato Charles Robert Darwin.

Umile, curioso e coraggioso come i più grandi scienziati, cambiò radicalmente la concezione del mondo, introducendo i concetti di evoluzione e origine delle specie, selezione naturale, tempo profondo, lotta per la sopravvivenza.

Un esempio da ricordare.

mercoledì 11 febbraio 2009

Status Novel


Non sono un fan di FaceBook. Ma ne sono rimasto intrappolato prima che diventasse una moda, e senza né amarlo né odiarlo, prendendolo per quella perdita di tempo che è, sto provando a "giocarci" un po'.

Chi bazzica i social network, saprà che c'è la possibilità di aggiornare in tempo reale il proprio "stato", nel senso che si può scrivere che cosa si sta facendo in quel momento, e gli altri utenti lo sapranno. Detta così sembrerebbe un'idiozia, ma mi ha prestato il fianco per un piccolo esperimento che sinceramente non so come andrà a finire: la "Status Novel".

Significa che ogni giorno, invece di scrivere che cosa sto facendo in quel momento, scrivo una frase che sia coerente all'interno di una narrazione "romanzata", raccontata in prima persona. E così, invece di comunicare al mondo che mi sto grattando il mento o che sto mangiando una cipolla, scrivo - ad esempio - che sono legato in un luogo buio e sto cercando di capire perché mi trovo lì.

Non sono pagato da Facebook per renderlo più interessante e invogliare altre persone a registrarsi, è solo un piccolo esperimento, pertanto copio qui di seguito gli "status" pubblicati finora, e prossimamente aggiornerò la lista, in modo che chi di Facebook non glie ne potrebbe fregare di meno, può ugualmente sapere come procede.

Joe si sveglia. Gli duole la testa. Dove si trova?

Joe si guarda intorno. E' troppo buio ma sente puzza di marcio.

Joe si accorge di avere mani e piedi legati. Deve trovare un modo di liberarsi.

Joe cerca di liberarsi ma i lacci intorno a polsi e caviglie si stringono ancora di più.

Joe legato in un luogo buio, umido, freddo e odorante di marcio, si mette a gridare, in preda al panico.

Joe torna ad avere lucidità. Deve liberarsi. Tasta intorno per cercare qualche oggetto utile.

Joe cercando nelle proprie tasche trova un accendino. Lo accende.

Joe alla luce dell’accendino scopre un cadavere a pochi centimetri dalla sua faccia. Si mette a gridare.

Joe ha appena scoperto un cadavere alla sua sinistra. Si guarda intorno. A destra: un finestrino. Sotto: un sedile. Davanti: uno schienale.

Joe muovendosi a fatica illumina intorno con l’accendino. Ecco cosa vede: un aereo pieno di cadaveri.

Joe spegne l’accendino per non sprecare gas e pensa al da farsi. Trema per il freddo e la paura.

Joe è al buio in un aereo pieno di cadaveri. E’ terrorizzato ma lo sarebbe di più accendendo l’accendino e rivedendo quegli occhi ribaltati.

Joe ha deciso: deve liberarsi. Con l’accendino scioglie i lacci di plastica che lo legano. Una goccia di plastica fusa gli ustiona la mano.

Joe è finalmente slegato. Mettendo i piedi giù dal sedile scopre che il pavimento è coperto da 10 cm d’acqua.

Joe confuso, coi piedi a mollo, guarda fuori dall’oblò dell’aereo. E’ buio, ma con un po’ di fatica riesce a mettere a fuoco.

Joe ha capito dove si trova l’aereo: a mollo nel mare, di notte. Capisce di essere VERAMENTE nella merda.

Joe , tra i cadaveri, in un aereo che galleggia in mezzo al mare, di notte, si chiede come ha fatto a finire in quel casino. Non ricorda nulla.

Joe a tentoni cerca il salvagente sotto il sedile. Lo trova, ma trova anche una pistola.

Joe indossa il giubbotto di salvataggio. Si chiede che cosa ci facesse anche una pistola sotto il sedile.

Joe mette via la pistola e decide di cercare nell’aereo qualcosa che lo aiuti a uscire da quel casino. Usa l’accendino per farsi strada.

Joe passando davanti al cadavere del vicino di sedile si accorge che ha un buco in testa. E che è il pilota dell'aereo.

Joe ipotizza che la pistola trovata sotto il sedile sia del pilota morto: dev’essersi suicidato. Ma perché vicino a lui?

Joe illuminando con l’accendino si aggira per l’aereo semi-allagato. Tutti i passeggeri sono morti con la mascherina dell’ossigeno addosso.

Joe si sposta verso la cabina dell’aereo: il gas dell’accendino sta finendo e deve trovare qualcosa per far luce.

Joe vicino alla cabina di pilotaggio trova uno scomparto nella parete. Lì cercherà qualche oggetto utile. Ma l’accendino si spegne di colpo.

[continua]


Sinceramente, non so bene dove andrà a parare né quanto durerà. Mi sono imposto di non prepararmi qualcosa prima ma di far progredire la storia di volta in volta, sperando che gli altri utenti collegati a me partecipino - come qualcuno sta facendo - dandomi consigli e impressioni. Questo non è solo il MIO "status novel": le altre persone commentando gli status possono imprimere qualche cambiamento alla storia, anche se qualche vaghissima idea su quale potrebbe essere la spiegazione di tutto ce l'ho... ma potrebbe cambiare. Una cosa è certa: visto il metodo "libero" che ho adottato, alla fine ci saranno sicuramente parecchie incongruenze... ma fa parte del gioco.

Insomma, col tempo vedremo dove mi porterà questo piccolo esperimento... Magari da nessuna parte! Magari mi stancherò fra due giorni e la cosa naufragherà... vedremo!

Giorgio

lunedì 9 febbraio 2009

Darwin... tra le nuvole


Ho avuto la fortuna di assistere alla prima di "Darwin... tra le nuvole", spettacolo teatrale del giornalista e fumettista Luca Boschi, del filosofo della scienza Giulio Giorello e del regista Stefano de Luca, rappresentato presso il prestigioso Teatro Studio di Milano.

Non c'è che dire: lo spettacolo è fatto molto bene, soprattutto in funzione di un pubblico di giovanissimi per cui è pensato.

Quale modo migliore di imparare l'origine dell'uomo se non seguendo Charles Darwin nel suo lungo viaggio sul brigantino Beagle tra Brasile, Ande, Terra del Fuoco? A traghettarci attraverso quella macchina del tempo che è il teatro, fino a quel 1831 del mitico viaggio, sono una giovane giornalista e una disegnatrice che decidono di conoscere Darwin e scoprirne le avventure, con la stessa incoscienza con cui lui stesso ha scoperto alcuni segreti della Natura, alla verde età di 22 anni.

In una sapiente progressione narrativa, ci vengono presentate alcune scoperte di Darwin in diversi scenari, e l'elaborazione delle seguenti teorie. La lotta per la sopravvivenza avviene davanti ai suoi occhi nella foresta brasiliana, tra una vespa e un ragno. Sulle Ande, grazie alla scoperta di alcune conchiglie, viene introdotto il concetto di tempo profondo, secondo cui la Terra si è modificata nei millenni fino a spingere a 4000 metri d'altezza superfici una volta sottomarine. Il ritrovamento in Patagonia di ossa preistoriche e l'incontro in Terra del Fuoco con uomini dall'aspetto selvaggio e primitivo preludono alla teorizzazione di una non fissità delle specie animali, ma di un'evoluzione continua: quindi tutte le creature, uomo compreso, avrebbero la stessa origine. Una scoperta che rivoluzionerà il mondo tanto quanto la scoperta che il sole non gira intorno alla Terra e che quest'ultima non è piatta.

Unica pecca drammaturgica, a mio vedere, è il finale: il viaggio viene bruscamente interrotto prima di arrivare alle Galapagos, dove è risaputo che Darwin abbia fatto scoperte fondamentali per l'elaborazione delle sue teorie. Capisco che ci fosse la necessità di essere brevi, vista l'intenzione didattica nei confronti dei bambini che prossimamente andranno (evviva!) a vedere lo spettacolo, ma piuttosto avrei tagliato qualche scena che personalmente ho trovato meno interessante, come ad esempio alcune relative al brigantino prima di giungere in Brasile. Inoltre l'interruzione del viaggio fittizio potrebbe generare qualche confusione tra i bambini, che rischiano di chiedersi se Darwin ci sia mai stato veramente alle Galapagos. Com'è andata in realtà viene spiegato in poche parole dagli attori, ma si sa, "actions speak louder than words", le azioni parlano più forte delle parole.

Un altro tema fondamentale che personalmente mi ha appassionato è la risposta alla domanda "Che cos'è uno scienziato?": gli scienziati, come i bambini, chiedono sempre "perché?". Darwin esplora il mondo, analizza ciò che lo circonda, chiedendosi ad esempio perché la giraffa abbia il collo lungo. Quando trova una possibile spiegazione, ecco che si delinea la teoria scientifica. Credo non esista modo migliore per spiegare a un bambino che cos'è uno scienziato, e mi perdoneranno gli autori, ma se mai un bambino mi porrà la questione, userò la loro spiegazione.

A interagire con lo spettacolo, abbiamo i divertenti disegni di Luca Boschi proiettati sul fondale, a volte animati. Un'idea molto valida e anzi, da fumettista avrei gradito un peso maggiore delle illustrazioni.

Il cast di interpreti è molto valido. La loro giovane età è funzionale allo spettacolo (Darwin aveva 22 anni quando partì per il Sud America), e hanno dato un'ottima prova. Mi è piaciuta molto Silvia Pernarella/Miss Nellie, mentre ho trovato un po' artificiosa l'interpretazione di Gabriele Falsetta/Capitano Fitzroy, ma nel complesso il giudizio è buono. Ottimi la regia, i costumi, la scenografia scarna ma molto funzionale.

Giovedì 12 febbraio si celebrano i 200 anni dalla nascita di Charles Darwin. Vi consiglio di andare a vedere questo spettacolo: sarebbe il modo migliore per commemorare uno scienziato coraggioso che ha cambiato radicalmente il pensiero moderno, togliendo l'uomo dal suo piedistallo dimostrandone il ruolo non da protagonista, ma da comparsa tra le comparse nell'intricato mistero della Natura.
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AGGIORNAMENTO:
AfNews, che ringrazio, ha linkato la mia recensione QUI.

sabato 7 febbraio 2009

Costituzione Italiana


Davvero, non vorrei parlare di politica. Ma la Costituzione Italiana non ha colore politico. E' il fondamento della nostra Nazione.

Colui che - ormai è chiaro - mira ad essere il nuovo Mussolini, sostiene che la nostra Costituzione è ideologizzata e ispirata a quella sovietica. Sembra pazzesco, ma leggete pure QUI.

A parte che dopo la guerra l'Italia era praticamente una colonia americana, comunque mancare di rispetto al Presidente della Repubblica e ai nostri Padri della Costituzione è una cosa che un Capo del Governo NON PUO' fare. A meno che non miri a un golpe.

Giusto per chiarire la cosa, l'Assemblea Costituente era stata eletta (termine fra un po' desueto) dal Popolo Italiano.

Ed ecco l'elezione esattamente come ha distribuito i 556 seggi dell'Assemblea:

- Democrazia Cristiana: 207 seggi
- Partito Socialista: 115
- Partito Comunista: 104
- Unione Democratica Nazionale (liberali): 41
- Fronte dell'Uomo Qualunque: 30
- Partito Repubblicano: 23
- Blocco Nazionale della Libertà (monarchici): 16
- Partito d'Azione: 7
- Movimento per l'Indipendenza della Sicilia: 4
- Concentrazione Democratica Repubblicana: 2
- Partito Sardo d'Azione: 2
- Partito dei Contadini d'Italia: 1
- Movimento Unionista Italiano: 1
- Partito Cristiano Sociale: 1
- Partito Democratico del Lavoro: 1
- Fronte Democratico Progressista Repubblicano: 1



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EDIT

Ah, tra i partecipanti all'Assemblea Costituente c'erano "filo-sovietici" come: Andreotti, De Gasperi, Moro, Fanfani, Einaudi, Gronchi, La Malfa, Scalfaro.

Revolutionary Road


Per chi voglia vedersi un film in cui la storia ha della vera sostanza, senza nessuno di quegli indigesti artifici retorici per strappare la lacrima facile che si vedono tanto spesso nei film drammatici, consiglio vivamente "Revolutionary Road" con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet.

L'interpretazione dei due protagonisti è formidabile. Mi correggo: l'interpretazione di TUTTI gli attori è formidabile.

La sceneggiatura è ottima. C'è da dire che già la narrazione del romanzo di Richard Yates del 1961, da cui è tratto il film, ha un taglio di per sé molto cinematografico, comunque il lavoro nel complesso è ottimo.

Non mi ha convinto del tutto la regia e soprattutto il montaggio, ma sono dettagli. Resta il fatto che se vi va di vedervi un film di due ore e non siete pubblico da "Vacanze di Natale", e vi va di usare questo nostro organo ormai in disuso che si chiama cervello, il consiglio è di andarsi a vedere "Revolutionary Road".


ATTENZIONE: di seguito vengono svelate parti del film e del romanzo.

La storia narra di Frank e April Wheeler, una giovane coppia degli anni '50 che, piena di sogni sul proprio futuro, va a vivere in un sobborgo del Connecticut (in Revolutionary Road, per l'appunto), non lontano da New York dove Frank lavora. Lei è un'attrice fallita e bada ai due figli, lui ha soffocato ogni ambizione per mantenere la famiglia, andando a lavorare alla Knox, azienda di elettronica in cui lavorava anche suo padre.

La sostanza è: Frank è un bravo bluffatore, capace con la dialettica di dare un'immagine fasulla di sé, rendendosi interessante senza mostrare mai un vero talento in alcunché. "Se il bianco potesse diventare nero a parole, tu lo sapresti fare", gli grida April ad un certo punto.

April, invece, ha visto naufragare il suo presunto talento in una mediocre compagnia teatrale paesana, dovendo pensare in prima istanza ai figli, avuti più o meno per caso. Se lui è una montagna di fumo senza arrosto, lei non è né carne né pesce: frivola e infantile, si lancia in mille progetti senza mai portarne a termine uno, come ad esempio l'idea di andare ad abitare a Parigi. Senza un vero obiettivo nella vita, un progetto comune, alla deriva come una nave in panne guidata dalla corrente, insieme i coniugi Wheeler sono la personificazione del vuoto di quella (anzi, questa) società, fatta di conformismo al modello pubblicitario della famigliola felice nella villetta bianca con giardino. Non a caso tutti gli altri personaggi, vicini e colleghi, sono contrari a quell'idea infantile di trasferirsi a Parigi. Tutti tranne John, il figlio psicolabile dei vicini Givings, che, come una bocca della verità, rinfaccia ai coniugi Wheeler il vuoto che hanno dentro e fuori. Lo stesso Frank lo grida alla moglie: "Sei uno schifoso guscio di donna". Un guscio vuoto, ovviamente. Un insulto capace di squarciare la coscienza di chiunque molto più di qualsiasi epiteto o parolaccia.

La frivola idea di andare a Parigi ovviamente naufraga: lui, dopo aver clamorosamente bluffato sul lavoro, riceve una vantaggiosa offerta di promozione, mentre April rimane incinta. Frank sembra quasi sollevato di poter rimanere alla loro mediocre e pigra vita di famiglia conformista, mentre April si sente il mondo crollare addosso. Il finale non sarà per niente lieto...


Come già accennato, l'interpretazione è magistrale. L'espressione sofferente della Winslet, lo sguardo spaesato di DiCaprio di fronte a ciò che gli capita intorno, sono da Oscar. Fin troppo: i due a tratti danno l'impressione di avere più sostanza di quello che dovrebbero avere i due tristi e mediocri protagonisti della vicenda. Senza talento e forza di volontà per emergere davvero, nel soffocante piattume del vicinato suburbano sono visti invece come due giovani di spicco, intelligenti e interessanti. Forse è proprio questa la loro maledizione: essere abbastanza intelligenti da percepire il vuoto e la mediocrità che li circonda, ma non abbastanza determinati da sfuggirne. Se avessero l'encefalogramma piatto come i loro vicini, sarebbero molto più sereni, accettando pacificamente quella vita da Mulino Bianco che è stata loro assegnata dalla società.

Magistrali alcuni passaggi, soprattutto verso la fine. Dopo l'ennesima e furiosissima litigata, April vaga nel boschetto vicino alla villetta, per restare un po' da sola e riflettere sul da farsi. Ad un certo punto la sua espressione, da disperata e sofferente, si fa determinata. Basta questo per capire che ha preso una decisione difficile, che avrà delle conseguenze. Il mattino dopo, sembra di essere catapultati davvero nella pubblicità della famigliola felice: April è tutta sorrisi e gentilezze. Chiede a Frank se voglia le uova fritte o strapazzate. Lui risponde che non lo sa, non sa scegliere, va bene qualsiasi cosa... poi decide per quelle più facili da cucinare. Questo è proprio Frank: un uomo che - a differenza della moglie - non sa prendere delle decisioni, non sa che cosa vuole dalla vita, e alla fine fa sempre la scelta più comoda. Frank è stupito di tanta gentilezza da parte di sua moglie: non ha capito che quella sarà l'ultima recita di April, l'unica volta nella vita in cui sarà una brava attrice. Andato via Frank, infatti, April cerca di procurarsi un aborto spontaneo. Comportamento incredibilmente stupido perché sa di correre dei grossi rischi, e infatti non sopravvivrà. In questa scena si racchiude il senso di tutto il film: April che sa esercitare il suo talento di attrice solo in famiglia, Frank che non sa prendere decisioni se non quelle più comode, la farsa della famigliola felice nella villetta del Connecticut, April che, oppressa da tutto questo, si provoca il vuoto dentro, auto-distruggendosi.

Nel complesso, il giudizio sul film è ottimo. Qualche difetto però c'è. Come al solito, il film non raggiunge del tutto l'eccellenza dimostrata dal romanzo di Yates.

Innanzitutto, le scene iniziali sono piuttosto sballate. Vedendo i primi minuti, mi sono pentito di aver portato degli amici a vederlo, perché sembrava delinearsi una boiata. Il montaggio delle prime scene non è uguale ma simile a quello del romanzo, eppure la sensazione che se ne ha è estremamente diversa. L'impressione è presto di freddezza tra i due, e quasi subito i due iniziano a litigare furiosamente. Inizio tediosissimo, per un film. Non si capisce di che cavolo stiano discutendo, e ti vien solo voglia di dirgli di smetterla. Il primo capitolo del romanzo invece è un ben più abile montaggio tra, al presente, le promettenti prove dello spettacolo cui April deve partecipare, la disastrosa prima dello spettacolo, e la seguente discussione in auto, mentre, al passato, il ritorno dalla guerra di Frank, le sue inconcludenti ambizioni, l'incontro con l'aspirante attrice April, il loro speranzoso acquisto da sposini della casetta in Revolutionary Road. Nel romanzo, all'inizio vengono subito delineati molto bene i due protagonisti: lui retorico e sempre attento alla "facciata", capace di manovrare le persone in un desiderio narcisistico di essere ammirato, lei piena di futili speranze puntualmente disattese, troppo concentrata su se stessa per rendersi conto davvero del mondo che la circonda. Inoltre, la casetta in Revolutionary Road quasi da subito diventa un personaggio importante, il contesto che da accogliente riparo per la famiglia si trasforma in soffocante prigione traboccante di menzogne. Nel film invece, questa parte manca quasi totalmente, ed entrare nelle vicende dei due protagonisti è più arduo. Anche alcuni personaggi minori come i coniugi Givings, i Campbell, la giovane Maureen, avrebbero meritato maggiore approfondimento. Certo, il film sarebbe durato tre ore, ma credo che l'avrei visto ugualmente con piacere.

Un'altra cosa che non mi ha convinto tanto, e qui è questione di sceneggiatura, è che nel film April viene dipinta come la vera vittima. Sembra che le sue buone intenzioni di migliorare la vita della famiglia siano puntualmente soffocate dal troppo mediocre Frank, e noi spettatori finiamo per stare dalla sua parte, percependo la sua morte come quella di una martire. Sembra quasi una Madame Bovary all'americana. Nel romanzo invece la questione è più complessa: sono entrambi vittime e carnefici l'uno dell'altra. Lui è sì mediocre e fasullo, ma lei è infantile e inconcludente. Come già detto, lei fa spesso progetti irreali e prende decisioni senza chiedere il parere a nessuno. Decide che loro si trasferiranno a Parigi, decide che cosa faranno là sia lui che lei, decide di abortire, eccetera, pretendendo che Frank si limiti ad approvare.

Infine, il romanzo mi è sembrato molto più misurato rispetto al film, esprimendo una sorda e inesorabile disperazione celata agli occhi del mondo, che pian piano incancrenisce fino all'inevitabile epilogo di morte. Il film invece mi è sembrato più "gridato"... ma forse è solo una mia impressione.

Questo non toglie molto a un film che meriterebbe diversi premi, soprattutto a quasi tutti gli interpreti, compresi la giovane Maureen e i vicini Campbell: magistrale l'interpretazione della moglie, frivola donnetta senza sostanza né intelligenza né bellezza, ma dopotutto una delle poche persone che apprezzano davvero quel tipo di vita e quindi priva di ipocrisia.

venerdì 6 febbraio 2009

Giuramento di Ippocrate


"Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:

- di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento;

- di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

- di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente;

- di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;

- di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione;

- di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali;

- di evitare, anche al di fuori dell' esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione;

- di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

- di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica;

- di prestare assistenza d' urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell'Autorità competente;

- di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;

- di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;

- di astenermi dall'"accanimento" diagnostico e terapeutico."


QUESTO disegno di legge approvato dal Senato viola a tutti gli effetti il Giuramento di Ippocrate, quello che tutti i medici fanno intraprendendo la loro professione. Un testo la cui prima versione risale al 430 a.C., ben prima dell'esistenza stessa della nostra Nazione.

Qualunque dottore segua questa norma del Governo, dovrebbe venire espulso dall'albo. Non perché lo dico io, ma perché lo dice il suo Giuramento.

E queste norme dovrebbero garantire la sicurezza? Cioè deligittimare le più basilari norme etiche che fondano la civiltà occidentale? E' sicurezza questa?

Non avrei nessuna intenzione di parlare qui di politica, ma quando è troppo è troppo.

Svegliamoci, gente...


P.S.: Copio direttamente dalla biografia di Roberto Calderoli: "medico ospedaliero maxillo-facciale". Questo significa che anche lui ha fatto il Giuramento. Come la mettiamo, allora?

giovedì 5 febbraio 2009

martedì 3 febbraio 2009

Au revoir




Quatto quatto, lemme lemme, viene da Angulemme...



Tornato dal Festival International de la BD di Angouleme un po' rintronato.






Naturalmente mi hanno mandato dei bodyguard per scortarmi... dopotutto sono una superstar mondiale.

E alla fine si fa anche qualche incontro interessante.

© foto: Davide Caci e Davide Brizio

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