lunedì 30 marzo 2009

Duplice rapporto


"[...]È stato durante questo processo creativo che ho appreso quanto fosse importante il ritmo di una storia. Incosciamente ho scoperto il duplice aspetto del rapporto che si crea tra l'artista e la sua opera, il fatto di interiorizzarla ma allo stesso tempo saperne prendere le distanze."


Non è stato uno sceneggiatore a dirlo, ma Éric Chahi, noto programmatore francese di videogiochi attivo soprattutto tra gli anni '80 e '90.

Be', la riflessione è decisamente azzeccata e applicabile a qualsiasi opera creativa, sceneggiatura in primis.

venerdì 27 marzo 2009

Subway Letteratura


E' con una punta di orgoglio che vi comunico che il mio racconto "Chandelle est morte" è tra i finalisti del concorso "Subway Letteratura", una bella iniziativa che ogni anno pubblica e distribuisce i racconti vincitori sui mezzi di molte città italiane, a partire dalle metropolitane di Milano e Roma, cercando di riportare un po' di amore per la lettura tra i distratti cittadini urbani.

Il mio, insieme ad altri due racconti, è il primo ad essere votabile e commentabile sul sito di Subway. Vi invito quindi ad andare a leggerlo e commentarlo: CLICCATE QUI.

Per votare e commentare è necessario registrarsi, ci vuole un attimo. Se avete intenzione di farlo, affrettatevi: il racconto sarà disponibile all'interattività solo per due giorni.

Buona lettura e grazie a chi se ne interesserà!

giovedì 26 marzo 2009

Cartoomics


Da una fiera all'altra: sabato pomeriggio dovrei essere a Cartoomics, a Milano. Ci si becca là!

mercoledì 18 marzo 2009

Huntik Magazine #2


E' in edicola il secondo numero di Huntik Magazine intitolato "Il titano della foresta", edito da Rainbow e sceneggiato dal sottoscritto. Disegni: Marco Failla. Disegni di copertina: Denis Medri. Colori: Davide Cencini e Chiara Fabbri Colabich.

Qui di fianco la copertina, che ho trovato sul blog di Davide Cencini.

Buona lettura!

© immagine: Rainbow - Big Bocca

"Depressione"?!


Allora, io non so bene come funzionino questi "annunci" di Google. Ma qualcuno mi sa spiegare perché nel mio blog ogni tanto come unico annuncio appare questo?


Che è, trasuda perfino dai pixel del blog, tanto che Google si lancia in analisi freudiane?

O Google ha qualche motivo di credere che chi viene a leggere il mio blog sia depresso? Sarà per quel paio di post in cui ho parlato di politica? Annunci del genere allora li vedrei bene in fondo ai siti dei quotidiani.

Oppure ancora Google psicanalizza in diretta chi viene sul blog e in quel momento ce l'aveva proprio con me (in psicologia questo si chiama "delirio di riferimento")? Magari a un altro viene fuori invece "Annunci Google: Agorafobia".

Voglio dire, non mi pare una gran bella presentazione: "Giorgio Salati - Depressione"...

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Aggiornamento delle 14.30:

Qualcuno di Google deve aver mangiato la foglia, e in questo istante negli annunci si parla di... fiori. Fiori? Proprio così. Mah.

Eppure doveva analizzare il contenuto del blog e mostrare annunci pertinenti (quindi mi sarei aspettato pubblicità di fumetti)...

lunedì 16 marzo 2009

Pensieri in Blu


Ringrazio Pablo che ha pubblicato un post a proposito del sottoscritto sul suo blog: Pensieri in Blu.
Grazie dei ripetuti elogi, fin troppi (ci sono più "straordinario" che in un'intervista di Arrigo Sacchi)!

Non conoscevo l'autore (fino ad ora), ma il suo blog "letterario" mi è sembrato interessante, perciò vi consiglio di darci una letta.

Prosit!

Scrivere per l'infanzia


Da quando ho aperto questo blog, mi sono reso conto di aver particolarmente a cuore la causa dei bambini. Sarà la crisi dei trent'anni.

A parte questo, stavo riflettendo sulle difficoltà nello scrivere per i bambini, con cui - visto il mio lavoro - mi scontro continuamente. Ma che mi procurano anche enormi soddisfazioni.

Topolino, come gli altri prodotti più popolari della Disney, è una testata per famiglie. Questo non significa che è solo per bambini, ma che bisogna tener conto che, nella vasta platea di pubblico, c'è una buona percentuale di bambini. Questa era la filosofia di Walt Disney.

Facciamo un esempio. Siete a cena presso una famiglia di amici. Oltre ai genitori, ci sono dei bambini attorno ai 6 anni. Per fare conversazione direte parolacce e racconterete storie raccapriccianti solo perché ci sono degli adulti? O piuttosto cerchereste gli argomenti giusti che possano interessare tutti senza turbare i bambini? E magari cercherete di raccontare gli aneddoti in maniera chiara e semplice per far sì che anche i bambini capiscano di cosa si sta parlando senza sentirsi tagliati fuori? Se la vostra risposta è "dei bambini me ne frego", be', non credo avreste avuto la stima di Walt Disney.

Perché questo è quello che è tenuto a fare un autore Disney o che scriva in generale per questo tipo di prodotti per le famiglie. Quand'ero piccolo, leggendo Topolino prediligevo le storie umoristiche con Paperino, e non mi interessavano molto i gialli con Topolino. Li trovavo troppo complicati. Crescendo, ho imparato ad apprezzare molto di più certe storie più "adulte". Ma Barks e Gottfredson li ho sempre amati, da bambino e da adulto. Lo stesso per Goscinny, Schulz, Jacovitti, Silver, Bonvi, Quino. Uno come Goscinny era in grado di parlare davvero a tutti. Obelix era talmente buffo da farmi rotolare dalle risate, ma crescendo ho scoperto in Asterix molti elementi di parodia sociale che da piccolo non potevo cogliere. Storie che andrebbero lette ogni 5 anni, almeno. Idem per Barks. I dialoghi eruditi di Cimino e Martina poi mi facevano sghignazzare. "Guiderdone" o "pecunia" erano il massimo dello humor. Come leggere sgnurf o skrapapaz... un divertente nonsense, ma in più imparavo delle parole nuove. A un lettore adulto invece deve aver fatto piacere leggere certe espressioni che impreziosivano linguisticamente il fumetto.

Un altro aspetto importante da tener conto quando si scrive per un pubblico di bambini è il diverso grado di complessità che bisogna mantenere rispetto a una storia per gli adulti. Qui, bisogna sfatare un luogo comune che nasce da un malinteso. E' vero che le storie per i bambini è meglio che non abbiano la stessa complessità di una storia per gli adulti (tralasciando il fatto che i bambini di oggi sono abituati a una maggiore complessità rispetto a quelli di anni fa). Questo però non significa che se una storia è semplice, debba essere stupida. Un bambino non equivale a un adulto stupido. Un bambino ha semplicemente un modo diverso di comunicare e di percepire la realtà rispetto a un adulto. I "grandi" di solito sono più legati alla logica, la razionalità (e qui mi sembra di star scrivendo un articolo di Alberoni). Analizzano i particolari e i passaggi logici più dei bambini. Questi ultimi però, sono in grado di percepire molto di più le emozioni. E' tramite le emozioni che bisogna comunicare coi bambini. Anche emozioni complesse, anche senza retorica, ma è grazie a queste che un bambino percepisce e apprezza una storia. Con l'amore, l'amicizia. Coi dilemmi morali di un personaggio che, come il bambino che legge, deve imparare a distinguere tra bene e male.

E' per questo che un film come Wall-E è in grado di parlare a tutti: tanta emozione - Wall-E si comporta come un bambino piccolo - ma anche tanta critica sociale.

Ed è per questo che film adatti ai bambini vengono definiti "per tutti". Perché quelli sono davvero "per tutti". Sono i film solo per adulti a essere indirizzati a una minoranza, non il contrario. Non dimentichiamocelo.

venerdì 13 marzo 2009

Redazione Bar Sport


A proposito del precedente post, hanno la mia solidarietà anche i redattori delle testate, che a volte sono anch'essi afflitti dal pregiudizio del "chiunque saprebbe farlo". Molto spesso persone che non hanno mai messo il naso in una redazione sono convinte di sapere come andrebbe impostata la linea editoriale della loro testata preferita. Sembra di sentire le classiche chiacchiere calcistiche al Bar Sport. Ognuno ha le sue idee: chi punterebbe sulle storie più lunghe, chi invece toglierebbe le storie a puntate, chi aumenterebbe le pagine, chi cambierebbe il formato o la periodicità, chi addirittura eliminerebbe dei personaggi. Chi metterebbe tre punte e chi un trequartista, chi la difesa alta e chi...

Perché la convinzione è che se le testate non vendono o non rispondono ai propri gusti, è perché le redazioni sono popolate da incompetenti. A parte che di solito nelle redazioni in teoria ci lavora gente che conosce il proprio lavoro, ma anche se fosse, perché TU che non hai mai lavorato in una redazione dovresti essere in grado di gestire meglio un giornale?

Personalmente, non ho mai lavorato in una redazione, ma se lo facessi credo che sarei piuttosto nervoso: avere la responsabilità di rendere un prodotto culturale appetibile il tanto da vendere e dare il pane a tanti dipendenti che ci lavorano, non dev'essere esattamente facile.

Ma si sa, siamo un popolo di allenatori, no?

mercoledì 11 marzo 2009

Sceneggiare sotto la doccia


Essendo sia musicista che sceneggiatore, mi è capitato di scoprire una curiosa analogia tra la pratica del canto e la sceneggiatura.

Quando si ascolta un gruppo emergente, capita che se uno solo dei componenti è scarso, molto spesso sia il cantante. Il motivo è semplice: mentre suonare uno strumento è visto come un'attività che chiede applicazione, impegno, anche studio, cantare sembra una passeggiata. Curiosamente, molti sono convinti che chiunque possa cantare. Quando cantano sotto la doccia si dicono "però, sono bravo!". Pare che non sia necessario avere degli strumenti tecnici per porsi sulla scena senza vergogna e pretendendo anzi il successo. E così, ecco non solo i palchi dei locali pieni di cantanti che cacciano urla strazianti da far intorcinare le budella (a parte qualche sparuto applauso dei quattro amici ubriachi stile "che storia, a vederti in ufficio/classe non l'avrei detto"), ma anche in tv se ne sentono di cose raccapriccianti.

Lo stesso tipo di menefreghismo tecnico a volte colpisce il mondo della sceneggiatura. La gente è convinta che chiunque possa scrivere. Se lo fa Cassano, perché non dovrei poterlo fare io? E così, chi è appassionato di fumetti ma non è capace di disegnare - che è quello che vorrebbero fare davvero, ché sono i disegnatori le vere star - allora a volte decide di fare lo sceneggiatore. Perché disegnare è visto come qualcosa di difficile: bisogna studiare, applicarsi, fare la gavetta. Sceneggiare no: le storie le ho già in mente, che ci vuole? Basta mettere giù che Topolino e l'amico suo quello alto che è un cane vanno a giocare a strip poker ma poi muore Zio Peperone (perché i lettori ormai sono cresciuti e si sono rotti che su Topolino non si vede il sesso e gli omicidi) però poi finiscono in un brutto giro di droga e allora c'è Basettoni che insegue a Gambadilegno e poi salta fuori Dilandog che gli passa la pistola Tesviller e per finire Batman scopre che Robin è sempre stato l'Uomo Ragno e poi ci mettiamo una bella battuta alla Rat-Man che io sono capace di scriverle come Ortolani e Faraci messi insieme. Ah, pregasi far disegnare storia a Cavazzano. O, in alternativa, a Alan Miller. No, cioè, Frank Moore... boh, quello di Sendmen, com'è che si chiama?

Insomma, a parte gli scherzi... alle volte saltano fuori robe imbarazzanti basate sulla convinzione non detta che si può sceneggiare anche sotto la doccia. La fan fiction ne è un esempio. Cioè, fino ai 17 anni va bene, per carità.

lunedì 9 marzo 2009

[NoComment] Destino manifesto


"Destino manifesto (in inglese: Manifest Destiny) è una frase che esprime la convinzione che gli Stati Uniti abbiano la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia. I sostenitori del destino manifesto credevano che l'espansione non fosse solo buona, ma che fosse anche ovvia ("manifesta") e inevitabile ("destino"). In origine frase ad effetto della politica del XIX secolo, destino manifesto divenne un termine storico standard, spesso usato come sinonimo dell'espansione degli Stati Uniti attraverso il Nord America e verso l'Oceano Pacifico.

Il destino manifesto fu sempre un concetto generale più che una specifica politica. Il termine combinava un credo nell'espansionismo con altre idee popolari dell'epoca, compresi l'eccezionalismo americano, il nazionalismo romantico e un credo nella naturale superiorità di quella che allora veniva chiamata la "razza anglosassone". Mentre molti autori, quando discutono del destino manifesto, si concentrano principalmente sull'espansionismo statunitense, altri lo vedono in termini di una più ampia espressione di un credo nella "missione" degli USA nel mondo.
"

Fonte: Wikipedia

giovedì 5 marzo 2009

Status Novel - 2


Questo post per aggiornarvi su come sta andando la "status novel", ossia la storia a brevi frasi che di giorno in giorno sto sperimentando sullo "status" di Facebook.

In grassetto le frasi nuove rispetto al precedente post di circa un mese fa.


Joe si sveglia. Gli duole la testa. Dove si trova?

Joe si guarda intorno. E' troppo buio ma sente puzza di marcio.

Joe si accorge di avere mani e piedi legati. Deve trovare un modo di liberarsi.

Joe cerca di liberarsi ma i lacci intorno a polsi e caviglie si stringono ancora di più.

Joe legato in un luogo buio, umido, freddo e odorante di marcio, si mette a gridare, in preda al panico.

Joe torna ad avere lucidità. Deve liberarsi. Tasta intorno per cercare qualche oggetto utile.

Joe cercando nelle proprie tasche trova un accendino. Lo accende.

Joe alla luce dell’accendino scopre un cadavere a pochi centimetri dalla sua faccia. Si mette a gridare.

Joe ha appena scoperto un cadavere alla sua sinistra. Si guarda intorno. A destra: un finestrino. Sotto: un sedile. Davanti: uno schienale.

Joe muovendosi a fatica illumina intorno con l’accendino. Ecco cosa vede: un aereo pieno di cadaveri.

Joe spegne l’accendino per non sprecare gas e pensa al da farsi. Trema per il freddo e la paura.

Joe è al buio in un aereo pieno di cadaveri. E’ terrorizzato ma lo sarebbe di più accendendo l’accendino e rivedendo quegli occhi ribaltati.

Joe ha deciso: deve liberarsi. Con l’accendino scioglie i lacci di plastica che lo legano. Una goccia di plastica fusa gli ustiona la mano.

Joe è finalmente slegato. Mettendo i piedi giù dal sedile scopre che il pavimento è coperto da 10 cm d’acqua.

Joe confuso, coi piedi a mollo, guarda fuori dall’oblò dell’aereo. E’ buio, ma con un po’ di fatica riesce a mettere a fuoco.

Joe ha capito dove si trova l’aereo: a mollo nel mare, di notte. Capisce di essere VERAMENTE nella merda.

Joe , tra i cadaveri, in un aereo che galleggia in mezzo al mare, di notte, si chiede come ha fatto a finire in quel casino. Non ricorda nulla.

Joe a tentoni cerca il salvagente sotto il sedile. Lo trova, ma trova anche una pistola.

Joe indossa il giubbotto di salvataggio. Si chiede che cosa ci facesse anche una pistola sotto il sedile.

Joe mette via la pistola e decide di cercare nell’aereo qualcosa che lo aiuti a uscire da quel casino. Usa l’accendino per farsi strada.

Joe passando davanti al cadavere del vicino di sedile si accorge che ha un buco in testa. E che è il pilota dell'aereo.

Joe ipotizza che la pistola trovata sotto il sedile sia del pilota morto: dev’essersi suicidato. Ma perché vicino a lui?

Joe illuminando con l’accendino si aggira per l’aereo semi-allagato. Tutti i passeggeri sono morti con la mascherina dell’ossigeno addosso.

Joe si sposta verso la cabina dell’aereo: il gas dell’accendino sta finendo e deve trovare qualcosa per far luce.

Joe vicino alla cabina di pilotaggio trova uno scomparto nella parete. Lì potrà trovare qualche oggetto utile. Ma l’accendino si spegne di colpo.

Joe a tentoni nel buio apre lo scomparto e fruga dentro. Tra le altre cose trova una torcia elettrica. La accende.

Joe accendendo la torcia vede che cosa aveva toccato dentro il vano al buio: un gigantesco ragno peloso e cangiante. Che corre verso di lui.

Joe cerca di schiacciare con la porta dello scomparto l’ENORME ragno, che però è troppo veloce. L’aracnide gli salta sul petto.

Joe con la torcia si stacca dal collo il ragno, che cade sulla testa del cadavere di un passeggero. Joe estrae la pistola raccolta poco prima.

Joe senza pensarci spara al ragno a distanza ravvicinata, trapassando anche il cranio del cadavere. Zampette e pezzi di cervello ovunque.

Joe dopo aver spappolato il ragno si sente più reattivo. Si trova in un aereo che galleggia in mezzo al mare. Deve capire come salvarsi.

Joe illumina l’acqua in cui i suoi piedi sono immersi. Nota un’evanescente scia di sangue che si espande verso la cabina.

Joe seguendo la chiazza di sangue arriva in cabina e trova il copilota e due hostess. Sgozzati. Che sia stato un dirottatore?

Joe è inorridito dai cadaveri sgozzati ma deve concentrarsi sui comandi in cabina. Quale sarà la radio?

Joe prova ad azionare diversi pulsanti, ma niente sembra funzionare. Chiamare i soccorsi sembra impossibile. Poi, dietro di sé sente una voce.

Joe ha sentito un rantolo dietro di sé. Battito accelerato. Si volta. È una delle hostess: è ancora viva.

Joe cerca in qualche modo di soccorrere l’hostess. Le tampona lo squarcio nel collo con un fazzoletto, che però si riempie subito di sangue.

Joe legge il nome che l’hostess ha appuntato sul petto: MELANIA. Hai i capelli rossi ed è bella. Nei suoi occhi verdi si può scorgere l’ORRORE.

Joe vede le sue mani riempirsi del sangue di Melania, e il terrore si impossessa di lui. Come salvarla? Come salvarsi? Chi è stato, e perché?

Joe capisce che l’hostess morente vorrebbe comunicare qualcosa. Lo guarda smarrita. Bocca aperta, occhi svuotati... Poi sembra riconoscerlo.



[continua]


E intanto anche a qualcun altro è venuta voglia di provare a inventarsi una storia nello stesso modo, leggerò con interesse!

Giorgio

Enigmistica editoria


A dicembre, sulla mitica Settimana Enigmistica, tra le altre è stata pubblicata questa vignetta che secondo me illustra con molta sagacia la situazione in cui versa attualmente l'editoria.



Un po' come dire... ci sono più scrittori (o fumettisti) che lettori.



© immagine: La Settimana Enigmistica

martedì 3 marzo 2009

Scemi di guerra


Quelli che leggete qui sotto sono fatti successi nel marzo 1945. Attenzione, ribadisco: marzo 1945, due mesi prima della disfatta della Germania, dopo 5 anni e mezzo di Seconda Guerra Mondiale.


3 marzo - La Finlandia dichiara guerra alla Germania.

Complimenti per il tempismo (in realtà la storia è più complessa, visto che la Finlandia si è trovata a combattere prima con i tedeschi contro i russi, poi contro i tedeschi che non se ne volevano andare).


19 marzo - Hitler ordina la distruzione sistematica di tutte le installazioni industriali, militari e civili presenti in Germania.

A chi protestava, Hitler rispose: "Se la guerra sarà persa, sarà condannato anche il popolo. Non è necessario tener conto della base di cui il popolo ha bisogno per la sopravvivenza. Al contrario, è meglio, distruggere persino questa. Perché il popolo si è rivelato quello più debole, e il futuro appartiene al popolo dell'est che ha dimostrato di essere più forte."

Quindi il futuro sarebbe stato del comunismo. Però. Complimenti per la doppia lungimiranza.


La guerra. Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere.

lunedì 2 marzo 2009

Watchmen: il film


Ho potuto assistere all'anteprima di "Watchmen", diretto da Zack Snyder.

Che dire... temevo molto peggio. "Watchmen" è un capolavoro del fumetto talmente grande che solo toccarlo ti fa rizzare i peli come se toccassi Dr. Manhattan.

L'inizio non è esattamente aderente alla graphic novel, e la cosa sul momento spiazza e innervosisce l'accanito fan del fumetto (il sottoscritto). Però ha un senso. Primo: un film non è un fumetto, non si può tornare indietro a rileggere per farsi un'idea più chiara, perciò ha senso che nei titoli di testa e nella prima scena si spieghi qualcosina di scene che sarebbero state viste in flashback. E si sa, il flashback appesantisce. Secondo: Snyder ha voluto metterci la sua firma, dichiarare fin dall'inizio che sebbene molto aderente al fumetto, questo film avrà qualcosa di diverso. Come il finale, per esempio.

In sé la pellicola non è male. La maggior parte della sceneggiatura e dei dialoghi sono ricalcati alla perfezione dalla graphic novel di Alan Moore. Ovvio. "Watchmen" era già perfetto così.

Le scene si susseguono in maniera piuttosto densa, i personaggi sono tanti, e anzi viene da chiedersi se uno spettatore che non abbia mai letto il fumetto riesca a capirci qualcosa. Però alla lunga manca un po' di mordente. Tutti i personaggi minori (l'edicolante, il ragazzino che legge fumetti, la tassista lesbica) sono stati eliminati. Solo lo psicologo del carcere e i "Nodi" fanno poco più che un cameo. E qui sta una pecca, perché è il contrappunto delle loro piccole vicende quotidiane a far crescere nella graphic novel la tensione legata all'imminenza di un conflitto nucleare. Non sono i supereroi. Loro sì, non fanno altro che dirlo di continuo che forse ci sarà la guerra, ma sono i cittadini spaesati col loro timore a fare da motore a tutta la vicenda nel fumetto. Loro sono i cittadini da difendere, quelli per cui i supereroi si mettono una ridicola calzamaglia, mentre il film è molto - troppo - concentrato esclusivamente sulle vicende dei supereroi. Nella graphic novel un personaggio secondario, un normale cittadino, è sgomento al consiglio della tv di mettere i cadaveri dei propri familiari in sacchi di plastica e lasciarli fuori dalla porta in caso di contaminazione radioattiva. Questo è molto più terrificante di una Spettro di Seta che ripete all'infinito che presto ci sarà una guerra.

Per quanto riguarda il cast, ho trovato particolarmente azzeccata la scelta di Jackie Earle Haley nei panni di Rorschach. La sua interpretazione è stata probabilmente la cosa migliore del film. Detto da uno che a momenti si appende i poster di Rorschach in camera. Abbastanza azzeccata anche la scelta di Jeffrey Dean Morgan nei panni del Comico. Patrick Wilson ha parecchio il "physique du role" come Gufo Notturno, peccato che la sua recitazione non mi sia sembrata affatto all'altezza. Ma sono certo che il doppiatore italiano saprà rimettere le cose a posto. Billy Crudup andava molto bene nei panni di Jon Osterman prima dell'incidente, ma nel ruolo del Dottor Manhattan ci si scontra con una voce troppo giovanile e poco adatta a quella che nel fumetto avevo sempre immaginato come una voce profonda, vagamente metallica... speriamo che anche qui il doppiaggio sappia migliorare le cose. Pollice verso invece per Matthew Goode nelle vesti di Ozymandias. Invece di una specie di semi-dio megalomane e perfetto sia fisicamente che mentalmente, si ha a che fare con un tipo che sembra un ragazzino pettinato appena uscito dal campo da tennis.

Insomma, il film è piuttosto aderente alle pure vicende del fumetto, non per niente dura 162 minuti, però è difficile respirarne lo stesso spirito. Le scene migliori, quelle più coinvolgenti, sono quelle che riguardano la conversazione tra Rorschach e lo psicologo, e quella tra Spettro di Seta e Dr. Manhattan su Marte. Non per niente quelle in cui si scava più in profondità nell'animo dei protagonisti. Però manca appunto quel contesto totale, quel pathos generale che ha fatto grande il fumetto. Da registrare comunque secondo me un profondo rispetto per la storia originaria e un grande impegno nel dar vita al fumetto senza snaturarlo.

Unica sorpresa, è stato il finale, che ovviamente non racconterò. Però è diverso dal fumetto, e la cosa da un certo punto di vista non mi è dispiaciuta: cominciavo a stancarmi di sapere alla perfezione che cosa stava per succedere (visto che pure i dialoghi sono presi pari pari dalla graphic novel). In un certo senso, questo nuovo finale tiene più "compatta" la sceneggiatura, mentre quello del fumetto tira in ballo un sacco di altre vicende e personaggi che vengono sparsi per tutta la storia. Detto questo, il finale mi ha convinto sì e no. Da un certo punto di vista, sembrava quasi la naturale conclusione delle vicende, e forse per questo non mi ha stupito quanto lo ha fatto quella del fumetto.

Ricollegandosi al discorso sui flashback che appesantiscono la storia - e già nel film ce ne sono parecchi - bisogna tener conto di una cosa. Nel fumetto di Alan Moore, i flashback non appesantiscono perché in realtà quasi non esiste il concetto di flashback, quasi non esiste il concetto di tempo. Lì, c'è un montaggio alternato di momenti diversi e distanti nel tempo, accostati per seguire un unico filo logico. "Ora è il 1985... Ora è il 1959..." dice Dr. Manhattan quando osserva la foto e ricorda il suo passato. Ed è così che l'Autore ha pensato la sua opera. La grandezza di Moore sta nell'aver capito nel profondo il mezzo del fumetto, che non è obbligato a una progressione orizzontale della storia come nel cinema, ma è un mezzo molto più interattivo. Moore vede la storia dall'esterno. Come se avesse tante carte da gioco in mano, mischia le scene e le incastra nel modo più suggestivo e funzionale. Il tempo è visto attraverso. Gli episodi della vita dei personaggi si collegano intrinsecamente nel tempo come anelli di catene, eliche di dna, come nastri di Möbius, come scalini di un dipinto impossibile di Escher. E questo un film non può farlo, non almeno a questo livello di profondità. Gnè gnè gnè.

Comunque, resto della mia idea: Watchmen, per com'è strutturato, sarebbe stato molto più adatto a una serie tv. Oggigiorno ci sarebbero stati i mezzi per poterlo fare senza snaturare troppo la storia. Non per niente la graphic novel è uscita a puntate, e ognuno dei personaggi è praticamente protagonista di un suo episodio, tramite i flashback che fanno da contrappunto alla vicenda. Questo ha invece appesantito il film, che pedissequamente (ma poteva fare altrimenti?) si è concentrato ora su un personaggio, ora su un altro.

Detto questo, il film vale sicuramente la pena di essere visto, sia da chi ha letto il fumetto sia da chi non l'ha fatto. Perché uno dei temi principali, quello dei supereroi che si scontrano con i loro problemi di semplici esseri umani, c'è e si vede. E' senz'altro un buon film.

E già che ci sono, consigli per gli acquisti: vale la pena di comprare il libro che racconta la lavorazione e il dietro le quinte del film, con belle foto di scena, distribuito in Italia da 001 Edizioni.

Buona visione!


© immagini Alan M... ops... DC Comics e Warner Bros

Underworld: La ribellione dei Lycans


UNDERWORLD - LA RIBELLIONE DEI LYCANS

Regia: Patrick Tatopoulos
Genere: Horror
Durata: 92'
Cast: Michael Sheen, Rhona Mitra, Bill Nighy

Uno scontro sanguinoso, che durera` nei secoli, scoppia tra due tribu` potenti e immortali. Il terzo capitolo della saga epica ``Underworld`` torna indietro nel tempo per mostrare le origini del conflitto tra gli aristocratici Vampiri, conosciuti come Portatori di Morte, e i barbarici Lycan, una stirpe di feroci licantropi.


Così recita la scheda de "La ribellione dei Lycans", ultimo episodio della trilogia cinematografica di Underworld iniziata nel 2003, che narra le vicende precedenti al primo episodio, andando a ritroso addirittura nel medio evo. Le vicende sono infatti quelle della nascita del lycan Lucius, cresciuto in cattività dal vampiro Viktor nel suo castello, e di Sonja, la figlia di quest'ultimo.

La struttura è quella classica alla Romeo e Giulietta: Lucius è un licantropo, Sonja è un vampiro. Si amano, ma la loro diversità non permetterà mai loro di stare insieme. Eccheppalle, direte voi, eppure è un tema forse immortale che, se declinato nella maniera giusta, può dare ancora molto. E' un topos antico quanto l'uomo che rappresenta le difficoltà che gli individui devono superare per perseguire il proprio amore, il bisogno di staccarsi dalla propria famiglia per crearne una nuova.

La storia si regge in equilibrio sul filo del rasoio tra scene avvincenti e grosse banalità, guizzi di pathos e palesi errori di sceneggiatura. Ci sono certi passaggi che spesso non sono molto chiari per chi non ha visto gli altri film o - come me - non li ricorda bene. Dall'altra parte, questa guerra tra vampiri e licantropi non può che appassionare. Il personaggio dell'anziano vampiro Viktor è senz'altro il più profondo e azzeccato, grazie alla sua intransigenza nei confronti della figlia. E bisogna dire che il bravo Bill Nighy ci mette del suo per dare spessore al personaggio.

Insomma, il film è un colossale videogioco, che a tratti appassiona e a tratti fa sbadigliare, ma senz'altro la trilogia di Underworld, senza aver mai avuto grosse pretese, ma evitando anche di scadere nel banale più becero, è riuscita nell'intento di divertire lo spettatore.

E comunque resta la mia impressione: Underworld non parla di altro che dell'eterna guerra tra dark (vampiri) e metallari (lycan).

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